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La Universal si ‘compra’ Spotify con esclusive e la quotazione in borsa

Dopo due anni di intense trattative (chissà cosa si sono detti realmente Daniel Ek e Sir Lucien Grainge), la Universal ha raggiunto un accordo con Spotify grazie al quale la Major delle Major avrà accesso ai big data della piattaforma svedese e a nuove forme di esclusive, come ad esempio dare agli abbonati premium due settimane di ascolto in anteprima rispetto agli utenti free.

Quello che il comunicato stampa non dice, ma che si legge tra le righe dei patti intercorsi negli ultimi 600 giorni, è che l’accordo possa prevedere anche un abbassamento delle revenue nei confronti della Universal: dagli attuali 55% al 52% o 51%. Questa riduzione di costo, permetterebbe a Spotify di limare le perdite e far crescere in maniera esponenziale il suo reddito lordo annuale.

Con i conti ben puliti, con la crescita degli utenti Premium derivanti dalle esclusive e una volta saldato il debito da 1.5 miliardi di dollari, ecco che Spotify può presentarsi a Wall Street per quella che potrebbe essere la quotazione in borsa del secolo, o quanto meno come quella di Netscape a metà anni ’90.

Quindi: Spotify ha trovato un partner con il quale progettare il futuro prossimo per se, i suoi dipendenti e i futuri azionisti; laUniversal potrà sviluppare nuovi strumenti dedicati (ed esclusivi) ai suoi artisti e potrà monitorare i gusti e il comportamento degli utenti Spotify, anche se con un piccolo taglio delle revenue.

L’accordo però sembra più utile a livello aziendale rispetto a quello di utilizzo. Ecco perché:

  1. Le esclusive hanno stancato
    Mettiamo caso che Lady Gaga decide di pubblicare un nuovo album e che la Universal permetta solo agli utenti Premium di Spotify di ascoltare i nuovi brani con due settimane in anticipo rispetto agli utenti Free. Questo porterà ovviamente molti nuovi iscritti disposti a pagare 9.99 Euro al mese, oppure anche gli ipotetici 14.99 Euro per l’ascolto in HD. Ma ci sarà comunque un malcontento per questo ‘obbligo’ di iscrizione, lo stesso che accadde al momento dell’anteprima di “The Life Of Pablo” di Kanye West su Tidal.

  2. Perché Spotify non è diventata un’etichetta?
    Netflix
    insegna: se detieni i diritti di un’opera (es: House Of Cards), hai la possibilità di ammortizzare i costi. Se Spotifymettesse direttamente sotto contratto Lady Gaga, potrebbe avere un ritorno economico molto alto, ad esempio quel 55% in più che attualmente cede alla Universal. Ma non lo può fare perché ‘adesso’ andrebbe a intaccare il piccolo mercato discografico mettendosi contro quelli che adesso sono i suoi partner, ossia le etichette.

  3. La reazione del pubblico
    Il successo di Spotify deriva molto dal suo essere ‘popolare’, ha sempre dato l’idea di essere uno strumento utile rispetto a uno strumento che FACCIA utili. Adesso che sta uscendo fuori la sua natura aziendale il rischio è una piccola disaffezione da parte del pubblico che potrebbe rifugiarsi in altre piattaforme. Pensate se venisse creata una società streaming con una filosofia a metà strada tra NPR e CraigList, dove si cura il contenuto (NPR) senza il bisogno di arricchirsi oltremodo (CraigList).

Il 2017 si conferma come anno fondamentale nel passaggio del testimone sociale e culturale; un bivio fondamentale che influenzerà il decennio successivo. Spotify e Universal avranno la loro parte nella storia, speriamo di raccontarla con il sorriso sulle labbra.

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