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Il razzismo sovrappensiero, l’afrobeat e la mancata fusione musicale [leggermente extra topic]

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“Senta, la bicicletta la leghi dentro il cortile perché qui c’è gentaglia…”
Siamo a Prati, una delle zone residenziali di Roma, avvocati, notai, commercialisti, c’è la Fifth Avenue di Roma, la luxury street Cola di Rienzo (Tiffany e la nuova Coin che è il negozio più bello che abbia mai visto in vita mia).
Molti Manfredi, Delfina, Ginevra, un’infinità di Tate che parlano sempre al telefono e storni di turisti gonfi di Euro.

E poi le ambasciate, soprattutto quelle presso la Santa Sede (Prati e San Pietro sono attaccati): bellissime e ricchissime.
Vicino ad una scuola c’è l’ambasciata della Nigeria, bellissima e grandissima: ovviamente ci sono molte persone di nazionalità nigeriana che entrano ed escono, con il dress code classico di questi luoghi: giacca, cravatta, 24ore, etc.

Mi sento chiamare dalla bidella di questa scuola accanto all’ambasciata nigeriana nel quartiere Prati di Roma, che mi dice: “Senta, la bicicletta la leghi dentro il cortile perché qui c’è gentaglia…”

Un ragazzo si ferma, la guarda e le chiede: “Ma che sta dicendo, che gentaglia c’è?”
Lei fa finta di niente e va via.
Io la seguo, lego la bicicletta dentro il cortile e le chiedo: “Ma il ragazzo aveva ragione: che gentaglia c’è? Si riferisce alle persone nigeriane che lavorano in ambasciata?”
E lei: “No, assolutamente, loro sono molto meglio di alcuni italiani… cioè, non intendevo loro… cioè, io non sono….” e non ha avuto il coraggio di dire razzista, perché sapeva di non esserlo, solo che il suo comportamento era quello della ‘razzista sovrappensiero’, affetta dal Morbo di Alfano che agisce nel subconscio delle persone, principalmente quelle over 50 particolarmente dedite alla teledipendenza da digitale terrestre.

Questo Morbo di Alfano o questo ‘razzismo sovrappensiero’ è uno dei più grandi ostacoli culturali: è diffuso, si annida nel subconscio, non ha una spinta reale, è stato inculcato nel ventennio e risorto a fine secolo scorso.
Ed è uno dei responsabili del nostro affossamento musicale che impedisce al pubblico (principalmente quelli over 50 teledipendenti dal digitale terrestre) di avere un rapporto sereno con la musica contaminata, e quando avviene diventa un’arma politica, una musica sociale e utilizzata per gli spot pro-integrazione, viene spogliata della sua postura culturale.

Ne parlavo con Fabio dei Sud Sound System che di fusione se ne intende: “La gente ha paura anche della musica extracomunitaria” mi diceva.
Vasco Rossi, praticamente da sempre, consiglia: “Se spegnete la TV, vedrete che le persone in realtà non sono così cattive”.

Adesso è il momento dell’Afro-Beat: molti musicisti italiani sono alla ricerca di una nuova frontiera cantautorale che fonda questo genere con altre musiche per continuare a sopravvivere e l’Afro-Beat sembra essere la scelta giusta.
Si cercano nuovi linguaggi per evitare la stessa cosa accaduta al Jazz con la morte di Miles Davies: la fine della crescita stilistica.

Se l’Afro-Beat, o qualunque altro genere, fallisse la sua integrazione abbiamo un rischio concreto che anche la nostra musica cantautorale possa morire per mancanza di crescita stilistica.
Non oggi o domani, certo, ma si avvierebbe a un lento declino.

Adesso è il momento dell’accorato appello.
Anzi, vi faccio ascoltare come suona un brano di Jovanotti in versione afrobeat, ideato ed editato da Jolkipalki (aka Federico Camici, ex-HoneyBird & The Birdies) che con questo mix ha vinto un contest RedBull.

[mixcloud http://www.mixcloud.com/redbullitalia/megamix/ width=460 height=208 hide_cover=1 hide_tracklist=1]

Questa invece l’originale:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=6EQjS_tSoYc]

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