MusicaBuzz, Social Music Marketing

Gli artisti emergenti non sanno cosa vogliono. Per questo continuano a fare dischi. 10 consigli potranno bastare? [Aggiornato: 3-10-2014 10:01]

1026175_757212351005289_9119683362606739995_o

Il Campus MEI è il luogo dove ogni anno si radunano centinaia di band e artisti emergenti per far ascoltare i loro prodotti agli addetti ai lavori. Non solo si indossano le cuffie, ma è un buon modo per chiedere consigli e regalare opinioni.

Si svolge durante la tre giorni del Meeting degli Indipendenti che è un aggregatore fisico di tutte le realtà che non hanno a che fare con l’industria major.

Funziona così: ci sono quattro postazioni, a ognuna di esse un giornalista, un discografico, un’agenzia di booking, management, etc., la band si mette in fila e con il CD in mano aspetta il proprio turno.

Almeno il 30% dei musicisti in fila arriva al tavolo con un Album già pronto in mano. Intendo 10/12 brani, missati, masterizzati con il CD serigrafato completo di booklet con una forte preferenza per il Digipack al posto del più sommario Jewel Box (spesso con 1000 copie stampate).

Il motivo?

Band: “Sappiamo che adesso l’industria discografica tende ad acquistare direttamente il master completo invece di ascoltare demo”.
Io: “Ok, ma quante volte suonate al mese?”
Band: “Una, a volte anche due ma sempre nella nostra città”
Io: “Quanti fan avete sui social?”
B: “200”
Io: “Quanto avete speso per l’album?”
B: “5.000 Euro”
Io: “E quanto vi è rimasto per promuovere un tour nazionale e incrementare i fan?”
B: “?”
E’ chiaro che la maggior parte di loro non ha la minima idea di come funzioni un’etichetta o un’agenzia di booking, come se non capissero che sono aziende a scopo di lucro; le vedono come fondazioni che versano migliaia di euro alle band sconosciute che si presentano con un CD già pronto.

Ecco 10 punti dedicati a tutti quelli che si sentono emergenti ma che vogliono emergere

  1. Investite soldi in un EP, anche live. Ma non chiamatelo Demo e non sputtanate la vostra paghetta in un album completo.
    Un Ep di cinque brani è un ottimo biglietto di presentazione e può stimolare l’etichetta a chiedervi qualche altra registrazione, oppure a chiedervi il master delle registrazioni. Registrare l’album quando vi viene chiesto e quando avete ben presente come funzionano le edizioni.
  2. Se proprio volete farlo (l’album), fate in modo che sia di altissima qualità e che siate in grado di venderlo ai vostri concerti.
    Un disco ben fatto è un ottimo modo per fare cassa. Anzi, è l’unica destinazione del CD. Ma se vendete gli album dovete anche riempire il tavolo del merch, e se riempite il tavolo del merch (T-shirt, Cappelli, acendini, etc.) utilizzatelo come punto aggregante per conoscere i vostri fan, prendere le loro mail, farvi le foto, taggarli su FB, menzionarli su TW, fare video, etc.
  3. Non si ottiene un contratto discografico chiedendo un contratto discografico.
    Un contratto discografico si merita, così come è il manager a trovare voi non il contrario. Non si chiede aiuto ai professionisti, al limite si assumono, è il loro lavoro e lo sanno fare bene. Se non vendi CD, merchandising, biglietti e non sai gestire la tua fan base (e hai numeri bassi su YT, FB e TW), non sei interessante.
  4. Un’etichetta sarà interessata alla vostra musica quando vi trasformerete da semplice gruppo in un’opportunità da non farsi sfuggire.
    Utilizzate il vostro sito ufficiale di primo livello (es: vostraband.it) come strumento di divulgazione di massa: mostrate i vostri successi, i vostri concerti migliori, i vostri tour, il legame con i fan, le versioni deluxe delle registrazioni. Non dovete essere soltanto bravi, ma dovete far sì che anche gli altri sappiano che siete bravi.
  5. Investite soldi in un tour promozionale
    Se invece di 5.000 Euro per un album inutile ne spendete 2.000 per un EP efficace, avrete a disposizione 3.000 Euro da investire in un tour promozionale. Contattate locali in target e per area geografica almeno 2/3 mesi prima, preparate un bel EPK (Electronic Press Kit, guardate questo in formato video), elencate le date precedenti e quanti paganti, mostrate le citazioni delle recensioni, le interviste, etc. Suonate anche a rimborso spese, ma organizzatevi con un bel tavolo merch.
  6. Investite soldi in advertising
    Fare pubblicità su Facebook può essere molto economico, soprattutto se state promuovendo una data o più date in una zona. Andrete a colpire quel target specifico, creerete interesse, soprattutto se nel copy (il testo che utilizzerete per la pubblicità) inserirete la parola ‘gratis’, ad es: “NomeBand live @Locale: i primi 100 avranno XXXX gratis”. Per avere qualcosa gratis la gente pagherebbe qualsiasi cifra. In più promuoverete anche il locale, cosa molto importante per lisciarsi il direttore artistico (leggi: fare networking).
  7. Pre-Durante-Post Promozione del tour
    Il ciclo vitale di una promozione fatta bene è divisa in tre fasi: ‘pre’ –> attivarsi sul web per veicolare un concerto | ‘durante’ –> fare in modo che anche durante il concerto si parli di voi, attraverso giochi su Twitter o con le foto/tag/FB al tavolo del merch | ‘post’ –> il giorno dopo pubblicare tutte le foto, taggare i fan e partecipare commentando quanto siate felici di averli conosciuti. In media ognuno di noi ha circa 400 amici sul profilo Facebook, una condivisione significa che potenzialmente arriviamo a quella cifra; se tagghiamo 10 persone, potenzialmente arriviamo a 4.000 persone in una sera; se lo facciamo per 10 concerti potenzialmente arriviamo a 40.000 persone.
  8. Con quali aziende e partner volete lavorare?
    Si chiama endorsement, e se avete un network popoloso alcune aziende potrebbero essere interessate al vostro target (strumenti, zaini, bevande, abbigliamento, occhiali da sole, etc.). Ideate un piano, proponetelo al partner, lavorate duro per tre mesi e tornate con i risultati; se è contento la prossima volta potrebbe pagarvi.
  9. YouTube = cover = monetizzazione
    Guardatevi i Boyce Avenue (6 mln di subs,  1.5 miliardi di views) e imparate a utilizzare YouTube. La massa cerca gli artisti famosi, non quelli sconosciuti. Fate cover di artisti potenzialmente in target con voi, vestitele con il vostro stile e cercate di fidelizzarli. Ad esempio i Piano Guys hanno fatto la cover di “What Makes You Beautiful” (35 mln di views. Notate i metadata: OneDirection – What Makes You Beautiful (5 Piano Guys, 1 piano) – ThePianoGuys), ma puntano più ai genitori dei Directioners.
  10. Fate collettivo
    Per ottenere risultati ed arrivare agli obiettivi che vi siete preposti (es: suonare 4 volte al mese, aumentare 500 fan al mese, caricare 1 video ogni settimana, etc.) dovete necessariamente farvi aiutare dai vostri amici. Stabilite all’interno della band chi si occupa di cosa e assumetevi le responsabilità; poi guardate alla vostra cerchia di amici più stretta per trovare fotografi, esperti in web design, commerciali in grado di gestire il merch, montatori video e tutto il resto del quale avete bisogno. E ricompensateli ogni volta raggiungono gli obiettivi.

Hai dei consigli che vuoi pubblicare?
Hanno avuto risultati?
Mandami i link e aggiorno la lista.

[Aggiornato: 3-10-2014 10:01]
Josh Sanfelici, dai commenti: “Ciao a tutti, sono Josh Sanfelici, produttore musicale indipendente di Torino che ha lavorato con Vinicio Capossela, Subsonica, Roy Paci, Mau Mau, Fratelli di Soledad e molti altri.
Vorrei consigliarvi una “tecnica” che ho utilizzato spesso e che ha sempre funzionato bene o molto bene per promuovere un gruppo agli inizi:
Quando avete realizzato un nuovo lavoro (CD, EP, Singolo, Video o qualunque altra novità), organizzate una presentazione ufficiale, nella vostra zona o dove sapete di avere più follower, in questo modo: contattate un locale di vostro gradimento con una capienza adatta a contenere poco meno della vostra audience prevista (che sia 30, 300 o 3000 persone, meglio locale imballato che semivuoto) e proponetegli di fare la presentazione del vostro nuovo CD con queste condizioni: il locale offre spazio, service audio, qualche drink e la cena per la band, il gruppo mette un biglietto di ingresso (3-5-8-10-12-15 euro, a vostra scelta – che deve essere oculata, anzi oculatisima di questi tempi) e paga la relativa Siae.
Almeno un mese prima della data tutto il gruppo contatta tutti i fan potenziali in tutti i modi possibili per sottolineare che non sarà un data qualsiasi ma la presentazione del vostro nuovo CD, un evento durante il quale voi REGALERETE il vostro CD ad ogni partecipante (pagante).
Posso assicurarvi che quasi ogni locale sarà ben felice di ospitarvi, che i vostri fan pagheranno volentieri un giusto prezzo per partecipare alla serata, portare a casa il vostro nuovo CD e sapere di aver presenziato all’evento!
Ad es. un gruppo torinese di Reggae che non suonava a Torino da alcuni anni, presentando il nuovo CD all’Hiroshima Mon Amour, ha fatto 800 paganti ad 8 Euro, 6400 di incasso, circa 4000 euro “puliti” dalle spese, quando avrebbero fatto molta fatica ad ottenere un cachet supreriore ai 5-600 euro. Inoltre bisogna considerare che – durante il primo giorno di uscita – sono state “vendute” 800 copie del disco, che si sono sparse per la città invece di ammuffire sotto il letto del chitarrista. Ovviamente bisogna essere consapevoli del proprio rischio e delle proprie potenzialità: non stampate 5000 copie e prenotate il Forum di Assago se ai vostri concerti vengono solo amici e parenti. Occhio anche ai bollini Siae dei CD, è più prudente che siano “vendita” e non “omaggio”.

[Aggiornato: 2-10-2014 19:45]
Alice
, dai commenti: “A mio parere le band sono tenute a dimostrare della serietà e soprattutto di credere realmente al loro progetto. Il presentarsi ad un’etichetta con i requisiti descritti qui sopra può essere un’ottimo modo! Non capita poi così raramente che un gruppo si sciolga, anche subito dopo aver pubblicato un disco.
E cosa succede all’etichetta di turno che incappa in questa spiacevole situazione? Vede andare in fumo i propri investimenti: soldi, tempo e tanto, ma tanto lavoro… Il tutto perchè il bassista e il chitarrista hanno litigato, o perchè il cantante pensava di diventare subito famoso con il disco d’esordio…
Seriamente: un’etichetta dovrebbe rischiare di chiudere per comportamenti del genere?
Certo che si tende a scegliere chi “ti fa balzare dalla sedia e ti prende dentro”, ma con la certezza che non metta a rischio qualcosa per cui hai e stai lavorando almeno 12 ore al giorno (weekend compresi) e che l’impegno nel progetto sia pari da ambo le parti!”

60 Comments on “Gli artisti emergenti non sanno cosa vogliono. Per questo continuano a fare dischi. 10 consigli potranno bastare? [Aggiornato: 3-10-2014 10:01]

  1. Sante parole. Credo che uno dei principali “problemi” sia la mancata conoscenza dell’odierno sistema musicale italiano da parte di band e musicisti emergenti. Si pensa ad affinare il lato creativo, ma non quello manageriale. Ma soprattutto ci si lancia in questa “avventura” con poca consapevolezza…

    1. Perfetto.
      Ma non solo del sistema musicale, manca la conoscenza del ‘lavoro’; non so come mai ma nessun musicista vuole lavorare per suonare, vogliono solo suonare senza lavorare.
      E poi si scocciano se gli zii continuano a chiedere: “Si ma che lavoro fai?”.

      1. No. Moltissimi musicisti fanno ALTRI LAVORI, così da poter fare anche i musicisti e campare senza tutta quella merda di like e merch e twitter.
        Non disprezzo il tuo articolo, ma non sono d’accordo con questo commento.

        1. Prima di FB e TW c’erano i Fan Club dove l’artista o la band incontrava il proprio pubblico; sono cambiati semplicemente i luoghi e il linguaggio.
          Incontro moltissimi musicisti durante le mie lezioni o i workshop o i seminari, e ti posso garantire che la maggior parte sta cercando nuove forme di promozione, mentre gli altri sperano solo di avere successo. E’ un atteggiamento troppo passivo.

  2. L’autore auspica un mondo di band americane da 4 soldi che tralasciano la musica per dedicarsi a fare delle cover cheap di band cheap, raccogliere “mi piace” su FB e a fare network marketing.

    Siate ispirati e poetici, fregatevene della popolarità e cercate di vivere rapporti veri: il successo sarà un effetto collaterale. Questo è il mio consiglio!

    1. Ciao Gabriele,
      il problema è proprio il fatto che molte band non riescono a capire la differenza tra celebrità e popolarità.
      Essere popolari significa riuscire a vivere dignitosamente con la propria musica; la celebrità è essere riconosciuto quando entri al ristorante dove ti riservano sempre il posto migliore.

      La popolarità si conquista ‘anche’ con cover, ma se, come dici tu, sono cheap, allora raccogli poco; le cover non devono essere facili, vuol dire che non hai visto gli esempi che ho linkato.

      Ispirati e profetici assolutamente si; ripeto, la ricerca non deve essere il successo, se lo vuoi vai a XFactor. La ricerca è la professionalità.

  3. Trovo questa routine strategica qualcosa di profondamente svilente, giusto porre l’accento sulla professionalità ed alcune cose che scrivi sono anche dei buoni consigli, in particolare sui live, ma altre cose a cui ad un artista tocca badare sono ridicole dai, tipo i like su facebook o la cover da mettere su youtube, o le magliette da vendere ai concerti. Non c’è alcuna differenza a livello qualitativo tra Xfactor e questo approccio, anzi forse il primo è addirittura meglio. “Si pensa ad affinare il lato creativo, ma non quello manageriale” –> Personalmente non ci trovo nulla di male in questa cosa, del lato manageriale dovrebbe occuparsene per l’appunto chi lavora in booking, uffici stampa, etichette, etc. Demandare l’aspetto manageriale all’artista tra l’altro gli fa perdere del tempo prezioso che potrebbe dedicare a suonare, scrivere e studiare setup degli strumenti, o molto più semplicemente lavorare per potersi pagare un disco fatto come gli pare. Fatto come gli pare compresa la durata. Per me la questione sarebbe molto più semplice: l’etichetta promuove quello che gli piace – se all’interno c’è gente che è appassionata di musica non dipende dal numero di like o di gente ai concerti, ma dalla sensibilità dell’etichetta – il fatto di promuovere solo gruppi che già per conto loro si sono fatti un seguito è una cosa che sottolinea la totale di assenza di un criterio di selezione decente. Il problema maggiore però è il fatto che ci si promuove spesso molto più facilmente grazie alla conoscenza e l’amicizia con il promoter X, piuttosto che con la bravura e l’aver qualcosa di importante da dire. Per non parlare dei fac totum della scena indipendente che fanno contemporaneamente musicisti, promoter, proprietari di etichette: dei geni insomma. Questo il mio punto di vista, che ovviamente non cambia niente della situazione, se poi a voi la scena italiana attuale piace così beati voi. Anche la divisione tra scenario indipendente e mainstream è qualcosa di abbastanza deleterio, ma questo è un altro discorso.

    1. Le etichette sono aziende a scopo di lucro, come i locali e le agenzie di booking.
      Se io investo 100 su una band è ovvio che debba avere un ritorno economico almeno di 180/200, per pagare la band e intascarmi la mia fee.
      Ed è altrettanto ovvio che se, a parità di qualità, ho una band con un network di 150.000 contatti già strutturata, e dall’altra un’altra band con 150 contatti e basta, sceglierò la prima, perché potrò concentrarmi più su lato artistico che non quello promozionale.
      Poi ci sono i casi dove artisti completamente disorganizzati sono stati presi da una label e fatti crescere all’interno del roster.

      I 10 punti sono generali, una band dovrebbe selezionare quelli che più desidera, non è obbligatorio seguirli tutti, anche se non sarebbe male.

      1. “Se, a parità di qualità, ho una band con un network di 150.000 contatti già strutturata, e dall’altra un’altra band con 150 contatti e basta, sceglierò la prima”. La qualità non è altro che ciò che piace a chi promuove il gruppo come etichetta, qualcosa che ti fa balzare dalla sedia e ti prende dentro, per intenderci. E su cui hai in mente di costruirci qualcosa, nel corso degli anni. A parità di qualità è un discorso che non ha senso, si ti piacciono ugualmente sia il gruppo da 150.000 contatti – numero sbagliato perché senza etichetta e promozione seria non ne esistono con così tanto seguito – che quello da 150 li promuovi entrambi, oppure nessuno dei due se non ti piacciono abbastanza. Bisogna credere in qualcosa, e sacrificarsi, per far crescere degli artisti che tra 30 anni si ascolteranno ancora, o per avere una scena che qualcuno al di fuori dell’Italia (ma anche al di fuori dei circoli arci e degli amici degli amici, oserei dire) badi in maniera seria. Un’etichetta è un’associazione a scopo di lucro composta da appassionati e competenti di musica, non di numeri.

        1. Ma scusa, tu hai un’etichetta?
          Lo sai che aziende del genere, così come le booking, versano quasi il 70% dei loro introiti allo stato (a meno che non si costituiscono associazione culturale)?
          Ma io produttore, talent scout, manager, come faccio a campare prima che possa vedere il ritorno dell’investimento?
          Il momento che stiamo vivendo non sono gli anni ’80 o i primi ’90.
          Dobbiamo affrontare il tutto in maniera differente: cambiano i contratti discografici, cambia la richiesta, la fruizione di musica, deve cambiare anche l’approccio degli artisti (o meglio, di alcuni artisti).
          E se come tu dici ‘l’etichetta è un’associazione a scopo di lucro composta da appassionati’, siccome sono appassionati non devono andare in vacanza o comprarsi una casa?
          Non so se tu suoni, hai mai suonato, fai parte di una band, ma è un lavoro veramente tosto, complicato e con tantissime variabili negative.
          E’ una vocazione. E se è una vocazione non puoi stare ad aspettare che qualcuno si accorga di te, non in questo momento storico.

        2. “Balzare dalla sedia”. Certo.
          Facciamo un esempio: ho un’etichetta, ho scoperto un gruppo che fa dello shoegaze da paura e io non solo sono balzato dalla sedia, ma ho forato il soffitto e sono finito nel salotto di quello di sopra.
          Ora, la domanda fatidica: ma questa cosa la venderò mai?
          No. La risposta è no, perché 9/10 delle persone con cui parli non ha idea di cosa sia lo shoegaze e ti chiederà circa 11 volte “che hai detto?”:

          Ergo: mi conviene lavorare con e per una band così? No.

          Continuerò ad ascoltarla, a sostenerla, ad andare ai loro concerti e a comprare i loro dischi?
          Assolutamente sì.

        3. Già il fatto che un ascoltatore debba saperne qualcosa di shoegaze per capire un gruppo conferma il mio discorso su nicchie e micronicchie. Non è colpa di qualcuno nello specifico, anche il muro divisorio tra mainstream e indie è un qualcosa di terrificante, ma pensare in base al genere e non da altri parametri più condivisi da chiunque è un ragionamento che non mi appartiene. Per il resto mi viene da dire: lavorate come credete sia meglio, sarà il tempo poi a giudicare cosa rimarrà culturalmente parlando della scena musicale indipendente italiana fra tot anni. Discorso che si applica a qualsiasi settore: continuando a trattare il lavoro come “Io farei colà, ma mi tocca fare così perché altrimenti chiudo”, ovvero senza un minimo di coraggio, di visione etica e gusto personale per me non si va lontano. Non perderete il lavoro nel breve termine, ma nel lungo termine lascerete davanti a voi un deserto.

      2. “E se come tu dici ‘l’etichetta è un’associazione a scopo di lucro composta da appassionati’, siccome sono appassionati non devono andare in vacanza o comprarsi una casa?” —> Boh, direi di sì come tutti gli altri lavoratori in linea di massima, dipende da quanto bravi sono. Io non sto dicendo che non dovrebbero guadagnarci, poi la cosa che dici delle tasse da pagare eccessive è sicuramente un problema bello grosso in Italia. Insomma io sono d’accordo con te sulla serietà e che è un lavoro, sull’approccio che descrivi invece no, e non perché esistano verità assolute in tal senso, ma semplicemente perché gli album che vengono promossi in ambito indipendente non mi piacciono, tutto qua, o comunque vedo un peggioramento di qualità rispetto ad anni ’70 e ’80. Se poi quelli che promuovete fanno le loro cifre che permettono di tenere in piedi la baracca nulla da dire, insomma se tu e gli altri tuoi colleghi siete soddisfatti del risultato credo sia giusto continuare su questa strada.
        Dato che chiedi, sono un musicista e ho un progetto musicale, che non è la mia fonte di sostentamento, e mi sto mettendo solo ora seriamente a portarlo avanti tentando di valorizzarlo e promuoverlo a dovere. Nel fare questo salto mi rendo conto che tutte le cose a cui bisogna badare tendono a mandarmi fuori di testa, perché ci vuole più tempo a promuovere che a scrivere sta benedetta musica, bisogna seguire un codice (tipo quello che descrivi qua sopra), stare attenti a non rispondere male a nessuno e non essere troppo sinceri, e soprattutto confrontarsi con un pubblico che vedo sempre più spezzettato e diviso in micronicchie. Non vedo come una cosa così normale il fatto che sia tutto così frammentario e difficile e codificato in base al contesto in cui ti poni.

      3. A mio parere le band sono tenute a dimostrare della serietà e soprattutto di credere realmente al loro progetto. Il presentarsi ad un’etichetta con i requisiti descritti qui sopra può essere un’ottimo modo!

        Non capita poi così raramente che un gruppo si sciolga, anche subito dopo aver pubblicato un disco.
        E cosa succede all’etichetta di turno che incappa in questa spiacevole situazione? Vede andare in fumo i propri investimenti: soldi, tempo e tanto, ma tanto lavoro… Il tutto perchè il bassista e il chitarrista hanno litigato, o perchè il cantante pensava di diventare subito famoso con il disco d’esordio…
        Seriamente: un’etichetta dovrebbe rischiare di chiudere per comportamenti del genere?

        Certo che si tende a scegliere chi “ti fa balzare dalla sedia e ti prende dentro”, ma con la certezza che non metta a rischio qualcosa per cui hai e stai lavorando almeno 12 ore al giorno (weekend compresi) e che l’impegno nel progetto sia pari da ambo le parti!

  4. E’ per chi la pensa così, che in Italia (e non solo) l’arte sta morendo. La musica è arte. Non soldi. L’arte muore quando arrivano i soldi. E grazie mille per aver scritto articoli pronti ad istruire futura gente che non farà altro che peggiorare il nostro mondo già reso marcio da voi. I soldi agli imprenditori. La musica agli artisti!

    1. Eccone un altro che si scarica la musica dai torrent o ascolta da Spotify gratis.
      Quindi immagino che tu non compri dischi, non paghi i biglietti dei concerti, non saldi il conto al ristorante e non versi la quota per l’acqua condominiale.
      Questa storia dei soldi agli imprenditori e la musica agli artisti valla a raccontare a tutte quelle band che si fanno un culo così per suonare in tutta Italia e poi incontrano persone che scroccano la loro arte.
      La parola gratis è il cancro della musica. E quelli che chiedono la musica gratis la metastasi.

    2. Ok.
      Poi però non rompete se non suonate in giro o la vostra pagina non supera i 400 mi piace e le 12 visualizzazioni a post.

      Se suonate per suonare non dovreste farvi di questi problemi.

      Mentre aspettiamo i soldi dello Stato (e non di chi consuma musica ogni giorno…nono, soldi sporchi quelli) per fare della grande musica (tipo le cover band di Ligabue/Vasco Rossi/Negrita sotto mentite spoglie o l’ennesima parodia dei Nightwish) che facciamo? Infinita partita a scacchi?

    3. Che confusione… eheheh 🙂
      Vediamo se facendo l’arte, poi, dopo aver attaccato gli strumenti alla corrente o essere stati a casa a suonare ecc. si riesce a pagare la corrente, l’affitto, gli strumenti, accessori ecc.

      Io credo che senza soldi probabilmente non iniziavano neanche le lezioni per iniziarla quest’arte. 🙂

      Vabè, discussione sterile. Passo e chiudo!

      Vado a fare musica e guadagnare soldi per continuare a farla.
      Le chiacchiere, come si dice, se le portano il vento.
      Adios.

  5. Hai centrato il problema. Molte band pensano che gli operatori dell’industria musicale siano fondazioni che hanno soldi da dare ai musicisti. Quello che dico sempre è: “Prima di guadagnare tu pensa a cosa gli altri possono guadagnare da te”.

    Sicuro che il solo “fare musica” non basta per fare tutto bene. Caro Fabrizio, dobbiamo lavorare per favorire una cultura della musica che non metta al centro i musicisti Vs tutti gli altri operatori (capitalisti, bleah!) ma che consideri che un progetto musicale parte dall’artista ma si sviluppa su più livelli. E’ una mia idea ma secondo me abbiamo bisogno di aspiranti produttori, aspiranti organizzatori di eventi, tour manager, aspiranti uffici stampa, ecc…perchè da soli gli aspiranti artisti non vanno da nessuna parte.

    1. Ciao Luciano,
      l’idea di avere della formazione professionale è in linea con le tante offerte che si sono sul mercato.
      Ma è molto valido anche farsi le ossa e la gavetta sul campo; il problema è che di veri professionisti in Italia ce ne sono davvero pochi.

  6. Ci dici, Fgalassi, che dobbiamo chiederci come funziona una casa discografica e lo show-bizness,e noi ti ringraziamo della riflessione, non eluderemo questa domanda. Ma tu, ti sei mai chiesto qual’è il senso (umano) della musica? Cerca anche tu di non eludere la domanda.

    1. E’ la fiamma che brucia la tua anima dal profondo e che ti fa vibrare, impossibile da arrestare. Se riesci a trasformare questa vibrazione in realtà avrai la tua musica.
      Questo è il mio senso umano della musica.
      Se poi vuoi rendere il mondo partecipe di questo momento epico, devi conoscere il music business.
      Ripeto: essere bravi e basta non vale più. Non sono felice di questo, ma l’unico modo per continuare a combattere è conoscere bene le regole per poi distruggerle. O al limite farle vibrare della tua musica.

    2. E’ molto bello esprimersi e fare la musica che si vuole, ma se si è veramente convinti di questo tutto il resto non conta: non si cercano fan, non si cercano ossessivamente concerti, non si mandano richieste di “mi piace” in modo decisamente fastidioso, non ci si lamenta del mancato successo.
      Se si fa musica per fare musica, si continua a fare musica indipendentemente da tutto.
      Se uno vuol fare della musica il proprio lavoro è bene conoscere le regole dello showbiz (il che non vuol dire necessariamente fare le cover dei One Direction su YouTube, ma perlomeno fare un packaging serio, che esuli dalla classica foto polarizzata della band in copertina e della foto tutti abbracciati nel libretto, quello sì…).

  7. Ma quindi dovremmo fare musica e organizzare tutto a tavolino solo per fare soldi e venderci bene, invece di liberare la nostra creatività e passione, componenti che da anni ormai mancano nel panorama italiano?!?!?! WTF!

    1. Ciao Giacomo,
      in realtà quello che tu dici è commercializzarsi, ossia omologarsi alla richiesta del pubblico.
      Invece l’importante e fondamentale è proprio “liberare la nostra creatività e passione”, ma al tempo stesso riuscire a trasmetterla al pubblico. Poi sta a te decidere quanto pubblico vuoi che ti ascolti.

    2. Se ci vuoi campare o girare la regione (non dico l’Italia…obiettivo troppo alto) suonando sì.
      Sennò, oh: prove domenica che lunedì prossimo abbiamo l’open mic a San Lorenzo.

  8. Italiani… bastian contrario e basta. Per questo sono andato via da li.

    Se provassimo, come dice l’articolo, a seguire qualche regola, magari poi, con il dovuto potere, riusciremmo anche a romperla.
    Mentre in Italia sono tutti “no io faccio come dico io” e tutti amanti del “puro” e poi si ritrovano a 80 anni, che non hanno concluso nulla e continuano a prendersela con “il sistema non funziona”.

    Bleah..

  9. Riflessione e consigli ineccepibili.

    Sono stato al MEI anche io e ho “scoperto” che esistono due tipi di artisti: quello che ha capito e quello che fa finta di non capire.
    “Quello che ha capito” sa perfettamente che LA MUSICA è un business e che non esiste luogo al mondo dove l’ascoltatore si plasma sull’artista. Quello che ha capito SI RENDE INTERESSANTE al pubblico che c’è “qui e ora”, non aspetta il fantomatico “cambio di rotta” perché “il paese non è pronto”. Fatica, giorno dopo giorno, con tutti i mezzi che ha; si circonda di persone che sanno come funziona il music business e che se ti dicono “tagliati i capelli, vestiti meglio e facciamo delle foto fatte bene per i comunicati stampa” tu ci stai perché vuoi sfondare e un taglio di capelli e una maglietta che non sia quella dei Megadeth forse può aiutare.
    “Quello che fa finta di non capire” sa perfettamente che facendo quel che fa, nel modo in cui lo fa, non andrà mai da nessuna parte, nemmeno tra un milione di rivoluzioni sociali. Il più delle volte questi soggetti non sono bravi musicisti, non sono bravi scrittori e guardano tutti al mito del “prima o poi verrà qualcuno a lanciarci nella stratosfera perché noi siamo bravi”. No.
    I talent scout ti prendono solo se sei già bravo e interessante, specie in questo particolare momento di crisi (del settore e non solo). “Quello che fa finta di non capire” di norma si lancia a capofitto su un ufficio stampa e l’ufficio stampa (permettetemi) infame lo inserisce nel roster, facendosi chiaramente pagare, ben sapendo che la promozione di tal band/artista andrà malissimo perché questi non è assolutamente interessante o accattivante (stesso discorso per finte etichette e booking).

    Ecco allora che si arriva alla situazione odierna. Ora che la musica indipendente (il sottosuolo dell’industria che – bene o male – ha sempre viaggiato con pochi soldi e poca visibilità) dovrebbe essere il trampolino di lancio della rivoluzione dell’industria discografica a cui tutti auspichiamo, ci troviamo in questa triste situazione di stagnamento dovuta all’esagerata mole di materiale (rivoluzione informatica, tutto digitale, meritocrazia musicale che tanto tutti possono fare un disco, ma anche tanta confusione) e alla poca professionalità (e sincerità) degli addetti alla promozione che, senza troppo starci a girare intorno, prendono e promuovono tutti – che, alla fine, son sempre soldi per mandare avanti la baracca.

    Sarebbe bene armare di sincerità chi lavora nel settore, così che negli eventuali roster verrebbero inserite solo le realtà musicali che veramente potrebbero andare avanti e fare bene. I “riceventi” (magazine, webzine, webradio, FM, giornali, TV) non schizzerebbero a priori le band indipendenti, girerebbe nuova musica e il mercato avrebbe aria per ripartire.
    Sarebbe bene, per le band, mettersi una mano sulla coscienza e dire “quello che faccio non interessa” e NON smettere di fare musica, piuttosto abbassare la levetta delle aspettative e smetterla di lamentarsi perché non si suona, perché nessuno si interessa, perché in radio c’è Ligabue o il tipetto di XFactor, perche “in questo paese non si riesce a fare musica come si deve”. Suonare deve essere una cosa bella, naturale, liberatoria: smettiamola di avvelenarci e di combattere contro i mulini a vento. Se la tua musica non interessa rendila interessante o se non vuoi scendere a compromessi fattene una ragione e accontentati del concerto al mese e dei 200 fan.

    L’italiano medio vede la musica indipendente e i musicisti indipendenti come sognatori che non sanno suonare o che fanno della musica troppo complessa, intellettuale, che a stento la si chiamerebbe musica.
    Tutti quelli che lavorano o che vivono nel settore indipendente sanno che non è così, ma per colpa di “quelli che fanno finta di non capire” ci ritroviamo in questa situazione: schizzati, ai margini dell’industria, come i cani sotto al tavolo del banchetto che aspettano le briciole di un pranzo – che è già magro di suo.

    Bisogna rivoluzionare l’industria e dobbiamo cominciare noi. Dobbiamo istruire generazioni intere ai meccanismi e ai nuovi modi di comunicare musica. Dobbiamo insegnare alle nuove generazioni ad ascoltare musica.

    Smettiamo di fare gli “artisti” e facciamo la storia.

    1. Ciao Giulio,
      il tuo ragionamento è abbastanza estremo, ma è purtroppo quello che accade.
      Hai ragione nel sottolineare che il gatto e la volpe spesso se ne approfittano delle band inesperte che non sanno o non vogliono conoscere il mondo del music business; e sono quelle che spesso vogliono restare pure a continuare a oliare il meccanismo perverso.

  10. Ciao a tutti,

    sono Josh Sanfelici, produttore musicale indipendente di Torino che ha lavorato con Vinicio Capossela, Subsonica, Roy Paci, Mau Mau, Fratelli di Soledad e molti altri.
    Vorrei consigliarvi una “tecnica” che ho utilizzato spesso e che ha sempre funzionato bene o molto bene per promuovere un gruppo agli inizi:

    Quando avete realizzato un nuovo lavoro (CD, EP, Singolo, Video o qualunque altra novità), organizzate una presentazione ufficiale, nella vostra zona o dove sapete di avere più follower, in questo modo:
    contattate un locale di vostro gradimento con una capienza adatta a contenere poco meno della vostra audience prevista (che sia 30, 300 o 3000 persone, meglio locale imballato che semivuoto) e proponetegli di fare la presentazione del vostro nuovo CD con queste condizioni:
    Il locale offre spazio, service audio, qualche drink e la cena per la band,
    il gruppo mette un biglietto di ingresso (3-5-8-10-12-15 euro, a vostra scelta – che deve essere oculata, anzi oculatisima di questi tempi) e paga la relativa Siae.

    Almeno un mese prima della data tutto il gruppo contatta tutti i fan potenziali in tutti i modi possibili per sottolineare che non sarà un data qualsiasi ma la presentazione del vostro nuovo CD, un evento durante il quale voi REGALERETE il vostro CD ad ogni partecipante (pagante).

    Posso assicurarvi che quasi ogni locale sarà ben felice di ospitarvi, che i vostri fan pagheranno volentieri un giusto prezzo per partecipare alla serata, portare a casa il vostro nuovo CD e sapere di aver presenziato all’evento!

    Ad es. un gruppo torinese di Reggae che non suonava a Torino da alcuni anni, presentando il nuovo CD all’Hiroshima Mon Amour, ha fatto 800 paganti ad 8 Euro, 6400 di incasso, circa 4000 euro “puliti” dalle spese, quando avrebbero fatto molta fatica ad ottenere un cachet supreriore ai 5-600 euro.

    Inoltre bisogna considerare che – durante il primo giorno di uscita – sono state “vendute” 800 copie del disco, che si sono sparse per la città invece di ammuffire sotto il letto del chitarrista.

    Ovviamente bisogna essere consapevoli del proprio rischio e delle proprie potenzialità: non stampate 5000 copie e prenotate il Forum di Assago se ai vostri concerti vengono solo amici e parenti.

    Occhio anche ai bollini Siae dei CD, è più prudente che siano “vendita” e non “omaggio”.

    Se poi volete farvi produrre da me il vostro nuovo CD potete scrivermi a joshsanfelici@gmail.com.

    Sperando di essere stato utile/interessante,
    Buone cose.

    Josh

    1. Non che sia una scemenza, ma diamo i numeri reali.
      A Roma, se fai una cosa del genere e sei più o meno il “signor nessuno” arrivato oggi in città, ti ritroverai a litigare con il locale che vuole sapere quanta gente fai (perché al posto tuo quella sera potrebbe venire la band di liceale che suona per la terza volta e porta al locale il 1°C, il 1°D, il secondo Biennio di un’altra scuola – quella del batterista – e anche tutto il 2°N, la classe della ragazza del bassista), ad accontentarti di un giorno qualsiasi (tipo martedì o mercoledì) e farai circa 30 ingressi (nel caso tu sia molto bravo) da cui ricaverai circa 90€ (perché oculatamente avrai messo il biglietto d’ingresso a 3€…a 5€ sarebbero venuti in 10, le vostre madri comprese, a 8€ manco le mamme). Tutto ciò a Roma (siamo, credo, 4-5 milioni di persone).
      Ci ritroviamo così con tante speranze, un locale semi vuoto e il primo flop che neanche si è partiti.

      Io consiglierei altro (sono un promoter e manager di Roma e non è importante dirvi con chi e per chi lavoro): andate in giro e prima di proporre la vostra musica ascoltate la musica che vi viene proposta. Guardate cosa piace alle persone, conoscete quelle persone, entrate nel loro mondo, imparate il loro linguaggio, fatevi nuovi amici – musicisti e non – diventate parte della scena musicale (che palese o meno, esiste sempre in qualsiasi luogo del mondo), che è fatta di persone prima che di gruppi.
      Guardate a chi ha più successo di voi ed è nel vostro giro e non fate i sempliciotti italiani da “sì vabbe’ ma quello ha il fratello/sorella/fidanzata/nonno/cugino che lo spinge, ti credo che va forte”. Magari ha anche il calcio in culo, ma in questo settore (resto in ambito indipendente) non si va avanti a calci nel culo per sempre: se piaci bene, sennò a casa. Cercate di capire perché ha successo. A volte è semplicemente mood, modo di comportarsi sul palco, ma SOPRATTUTTO sotto il palco. Molto spesso, PIU’ DI TUTTO, è modo di comportarsi sulla rete (vi porterei l’esempio de I Cani – che se non li conoscete smettete di leggere anche subito questo commento).

      Una volta che avete capito come muovervi tra queste persone (le persone che a cui dovrete proporvi domani) e vi sarete fatti dei nuovi amici delle altre band brave del giro, proponetevi innanzi tutto a questi ultimi. Spontanei, quasi sfacciati: “questo è il nostro disco, ti piacciamo?”.
      Evitate di essere pedanti, tanto se piacete ve lo dicono. Non hanno interessi, sono musicisti come voi. Non devono lavorare con voi, non sono produttori e di norma sono orgogliosi della loro musica, esattamente come voi – e quindi non esiteranno a dirvi “fa schifo”.
      Se siete piaciuti a qualcuno che un po’ di locali li gira, che suona più di voi, ha un buon pubblico che potenzialmente potrebbe essere anche il vostro pubblico (ovviamente, voi che fate cantautorato non vi andrete a proporre alla band super metal della vostra città…siate oculati nelle scelte che fate, cercate qualcuno con un pubblico a cui possiate piacere davvero), chiedetegli di poter aprire una loro data.

      Esempio: CANTAUTORE NUOVO fa ascoltare a CANTAUTORE FIGO il suo disco:

      > “Bello! – dice il CANTAUTORE FIGO – mi piace molto quando blablablablabla (e tutte le menate di voi cantautori)”.
      > “Fantastico!”, dice il CANTAUTORE NUOVO, e i due continuano a parlare di sta roba per un po’ (di mesi). Poi d’un tratto…

      > “Sarebbe fighissimo suonare assieme” fa il CANTAUTORE NUOVO
      > “Ma sì dai! Io la settimana prossima ho un concerto a (venue locale, che resta locale ma è pur sempre un inizio), se ti va vieni a fare un paio di pezzi prima di me”

      o anche

      > “Senti ma se ti vengo ad aprire un po’ di date gratis…?” fa il CANTAUTORE NUOVO.
      E per il CANTAUTORE FIGO (sempre che sia stato sincero e tutto) non ci dovrebbero essere problemi, anzi, dovrebbe essere contentissimo.

      Se poi il CANTAUTORE FIGO è talmente insicuro da temere di essere scalzato dalla nuova leva, evidentemente non è così figo (o forse non è un cantautore…non sono loro quelli che tipo “io sono meglio di tutti”?).
      Se poi il CANTAUTORE FIGO è un infame, ve lo siete scelto male.

      Ecco così, forse, c’è modo di uscire dalla melma caotica degli artisti indipendenti anonimi.
      COPIATE. Se a fianco a voi c’è qualcuno che ha successo, sappiate che non dipende solo dalla musica. Levate la musica dall’equazione e copiate (per quanto possibile) quel che resta.

  11. Vomito.

    Così è come vanno le cose, non come vanno fatte. Ed è veramente uno schifo.
    “se hai numeri bassi su YT, FB e TW non sei interessante”.
    Così tratti un prodotto, non un artista. Chiaramente se qualcuno vuol diventare un prodotto commerciale (avendo tutti i diritti di farlo) deve fare tutto quello che avete scritto, ma non usate mai più la parola “Artista”.

    E noto con piacere che non frega niente a nessuno di come suoni e come scrivi.

    1. Come uno suona e scrive sono cose talmente personali che non possono essere catalogate e schematizzate matematicamente.
      Questo lavoro si può fare solo su un comportamento promozionale inteso come una disciplina.
      Se poi l’artista sceglie di farlo da solo, qui ci sono i consigli, sennò deve pagare persone che lo facciano per lui; poi ci sono i promoter che sono imprenditori che possono aiutarti, ma devi fornire loro i motivi per farlo.
      Ripeto: trovo che il momento storico sia terribile, ma oggi è così.

      Ah, c’è sempre l’opzione: “Suono per chi mi pare e quando mi pare e mi sta benissimo così”.

      1. Hai ragione.
        Il fatto che la musica sia diventata un business (come scrivono qua sotto) è ormai da accettare volenti o nolenti, il problema è che un artista non può e non deve pensare a queste cose, pena la morte dell’arte stessa. Non deve pagare nessun professionista che faccia questo al suo posto. Questa condotta sta portando all’intasamento e al peggioramento della cultura musicale, proprio perché, quello che voi chiamate artista emergente, deve pensare al suo comportamento promozionale, lasciando meno spazio alla propria fase creativa. E’ chiaro che i contenuti sono l’ultima cosa che i professionisti del settore guardano, non lo puoi negare.
        Nella Musica, nell’Arte, l’opzione “Suono per chi mi pare e quando mi pare e mi sta benissimo così” è l’unica sincera. In una situazione del genere verrebbe apprezzato unicamente il merito (qualsiasi merito).

        Io non riesco a leggere un articolo che sconsiglia ad un artista di fare un album, è semplicemente assurdo.

        La Musica è un’altra cosa mi dispiace.
        Comunque ho capito che intendi, scusa i toni di prima ma non riesco a vederla diversamente anche se spesso, da musicista, mi sono ritrovato a seguire consigli del genere e so in che modo e quanto servono.

  12. La fama, o per meglio intenderci quella fase artistica alla rock-star, con macchine di lusso e tanti ma tanti soldi, non esiste.
    O meglio, è stata sostituita da “progetti frankestein”, imbecilli con nessuna valenza artistica con, sulle spalle, un sistema di produttori, parolieri, correttori di bozza, etc. da far rabbrividire anche il più preparato.
    Molte delle persone che si considerano “produttori” e la maggior parte delle volte aggiungono una lista di nomi importanti con cui hanno, a detta loro, lavorato, non sono altro che musicisti all’ombra di questa grossa industria, che ormai di artistico non ha più niente.
    Ve lo sto dicendo non perché sono il solito stronzo disfattista, ma perché dopo 4 anni di gavetta, un EP alle spalle, un’associazione culturale e svariati concerti in Italia, ho deciso di rimettermi a studiare a Londra. E ho scoperto che questo sistema poteva andare bene negli anni 80. Ma ora è vecchio, obsoleto e fallimentare.
    Volete davvero avere dei consigli utili?

    1. NON FATE COVER E DATEVI TOTALMENTE ALLA VOSTRA MUSICA.
    Le cover vi porteranno al massimo a ricevere molti complimenti, e un posto fisso da 20 euro a data in un locale sgangherato. La vostra musica sarà sempre il vostro biglietto da visita. Non lesinate sullo studio delle lyrics e del vostro strumento. La linea sottile tra un amatoriale e un professionista sta nel numero di persone che colpirete, non su i “mi piace” su fb.
    2. DATEVI ALL’UNDERGROUND, POSSIBILMENTE STRANIERO.
    Imparate l’inglese come la vostra madrelingua, e buttatevi sulle etichette indipendenti che ancora adottano il 50-50. Studiatevi le 4 varianti dei contratti discografici internazionali e le variazioni di mercato. Le major chiedono il 90% dei diritti, ovvero si vi rendono famosi, ma con una ricchezza illusoria che alla prima nuova tendenza svanirà lasciandovi pieni di debiti, e schiavi di un’industria.
    3. IMPARATE A UTILIZZARE ALLA PERFEZIONE ABLETON, LOGIC, PRO TOOLS E TUTTI I PROGRAMMI DIGITALI.
    Non importa in quale modo riuscirete a scaricarli nel vostro pc. Vi pareranno il culo con i produttori pessimi e vi daranno una base già buona per iniziare a registrare a casa. Il multitraccia ormai è d’obbligo. Imparate l’utilizzo dei compressori, del riverbero, e di tutti gli effetti che riuscirete a trovare. Al posto di spendere 5.000 euro per un Ep, spendete 200-300 euro per un programma decente, passate un anno davanti allo schermo fino a quando non respirerete bpm, e dopodiché fatelo o fatevi masterizzare le vostre tracce. Il mondo della produzione gira intorno a questi programmi. Utilizzarli vi renderà più sgamati.
    4. NON ASPETTATE LE ETICHETTE PER FARVI I SOLDI, MA CERCATE NEL MERCATO DIGITALE.
    In questo momento esistono milioni di siti dove potete farvi conoscere e allo stesso tempo farvi due centesimi, da Cd Baby a Spotify, da iTunes a SoundCloud. Dopodichè per il resto andate in strada, specialmente d’estate. Il busking, disprezzato in Italia ma apprezzato in tutto il resto del mondo, vi darà qualcosa da vivere e tanta esperienza diretta sul campo. La gente per strada non viene a sentirvi. Tocca a voi fargli vedere quanto valete.
    5. L’UNDERGROUND ITALIANO È QUASI INESISTENTE: TOCCA A VOI/NOI COSTRUIRLO.
    Formate comunità artistiche. Prendete una casa nel mezzo del nulla, altri cinque o sei musicisti, diverse band possibilmente, fatevi un orto se volete, in modo almeno da risparmiare un poco sul cibo, chiudetevi dentro e iniziate a produrre una canzone al giorno, che nel resto del tempo libero elaborerete al meglio.
    Se sarete bravi e costanti potrete in breve tempo formare un piccolo collettivo artistico, iniziare a organizzare serate a pagamento nella casa, e sessioni video con le varie band.
    6. FATEVI UN’IDENTITÀ STILISTICA.
    Quante volte abbiamo sentito gruppi che ce ne ricordavano altri. Sono ancora presenti nell’ambiente artistico? La risposta è no. Un’identità stilistica è la cosa più importante e primaria dell’ambiente musicale. Andate oltre gli stili già inventati e cercate di essere il più originali possibili. Dopodichè viviamo nel mondo delle immagini, quindi rendetevi riconoscibili. Fatevi un logo. Realizzate video di esecuzioni musicali. Fatevi vedere.
    7. PENSATE IN MANIERA ALTERNATIVA
    Potete essere musicisti anche senza darvi per forza al Live. Esistono milioni di modi con il quale potete essere riconosciuti come artisti. Dall’arte concreta agli spettacoli teatrali. Fate zoom indietro e osservate TUTTO il panorama artistico. Magari c’è un posto più adatto al vostro flusso creativo.
    8. FARE MUSICA NON È UN GIOCO.
    Una volta che si decide di fare il musicista, bisogna andare fino in fondo.
    E questo significa arrivare, almeno all’inizio, con l’acqua alla gola a fine mese, con milioni di strumenti da acquistare e senza i soldi per farlo.
    Significa mangiare i salatini nei banconi dei locali perché non hai i soldi per comprarti un panino, o ritrovarti a contare le monete rimanenti per prenderti la verdura più economica al supermarket.
    Ricordiamoci che ad ogni buon pezzo di chitarra corrispondono 7 ore ogni giorno per un minimo di 3 anni.
    L’ambiente della musica non è una Eldorado piena di gioielli è solamente un lavoro come un altro, e di certo non lo si ottiene con due strimpellate di chitarra ma sudando, e certe volte neanche quello basta. Semplicemente perché ancora nessuno conosce l’esatta definizione di talento.

    Dopodichè queste non sono neanche parole mie, ma insegnamenti datemi da professionisti nel settore internazionale, che, dopo anni di carriera artistica, ora insegnano tra un lavoro e l’altro all’Istituto di Musica Contemporanea di Londra, dove studio.
    Gente che, magari si’, non ha lavorato con Capossela, che peraltro stimo, ma con Bobby McFerrin, Bruce Springsteen, Eric Clapton e altri soggetti del genere.
    Inoltre alcuni dei quali tutt’oggi lavorano nel settore del marketing,e quindi che sanno come viaggia adesso il commercio artistico.
    Semplicemente, con tutto l’assoluto rispetto nei confronti dei produttori che hanno lavorato a questo articolo, sono stanco di leggere i soliti consigli su “come entrare nel fantomatico mondo commerciale”.
    Qua gli artisti vogliono lavorare. Punto.
    E parliamoci chiaro, il mercato musicale in questo istante sta succhiando da ogni orifizio dell’Underground, semplicemente perché non ha più idee.
    Perciò iniziamo ad aiutarci l’un l’altro, al posto di dispensare sempre i soliti consigli, mentre le etichette discografiche italiane continuano a proporre contratti da far ridere l’Uganda.
    Onestamente, meglio viaggiare senza etichetta che con un contratto da fame.

    1. Ciao Frack,
      noi dobbiamo sempre fare conti con un sistema meno virtuoso di quello nel quale ti trovi tu.
      Indubbiamente uscire dai confini italiani è la cosa più importante che una band possa fare adesso, ma se non è possibile (vuoi per paura vuoi per mezzi) e rimani in Italia, devi cambiare tipo di prospettiva.

  13. Io sono autore-compositore-cantante, amo la musica l’ascolto la creo e sono soddisfatto a livello morale , per me questo è già un gran successo. Per essere artista occorre avere una passione divorante che ti fa continuare a suonare anche quando nessuno ti dice mi piace o ti chiede un autografo e anche quando nonostante la forte motivazione a continuarla a farla nessuna ti fa suonare in un locale piccolo o grande che sia o in stadio. E’ possibili raggiungere con la promozione una grande popolarità ma diventare ricchi è questione di opportunità da cogliere al volo ed avere fiuto per chi abbiamo la fortuna d’incontrare. Farsi notare per la propria genialità artistica musicale ma anche per la nostra forte personalità e umanità ,e dalle cose che diciamo, saper comunicare ma anche saper ascoltare, dal modo come ci poniamo verso il potenziale futuro pubblico pagante.
    Salvatore Di Roberto
    P.ZZA Maggio N° 5-Cap 04010-Norma(Latina) cell 3337289322
    salvio571s@libero.it

  14. Caro Fabrizio,
    quello che corrono le case discografiche è quello che viene definito RISCHIO D’IMPRESA, e lo corrono tutte le persone che avviano un’azienda. Quindi sì, proprio perchè come dici tu non è un ente di beneficienza ma un’azienda a tutti gli effetti, la casa discografica dovrebbe riconoscere un talento e RISCHIARE di promuoverlo, dovrebbe essere quello il suo ruolo. La verità è che nessuno ha più le palle di rischiare niente in questo paese e grazie a questo avete ridotto la musica commerciale (cioè quella che viene facilmente servita alla gente che non va alla ricerca di artisti underground) a un elite chiusa per gente ricca e/o raccomandata. Se hai soldi puoi pagare per fare tutte quelle cose promozionali che suggerisci tu (bellissime ma impossibili per uno che ha un lavoro da 40h settimanali che gli serve per campare), se hai i contatti giusti qualcuno garantisce per te e allora l’etichetta discografica può forse correre il rischio di promuoverti. Probabilmente se se il figlio di qualcuno hai anche i soldi, il gioco è fatto. Il tutto ha come conseguenza l’impoverimento della capacità di ascolto dell’utente medio che a mio parere diventa sempre più ignorante (complice la scuola che dell’arte se ne occupa sempre meno perchè è superflua….) e il proliferare di artisti mediocri (dai, vogliamo parlare dello spessore del tormentone estivo di Baby K??). Per cui è un circolo vizioso, l’ascoltatore sempre più abituato alla musica usa e getta si accontenta di quello che gli viene propinato e quelli che davvero la musica l’hanno studiata e la venerano e la rispettano tirano a campare con qualche concertino sottopagato. In tutto questo c’è qualche eccezione passata chissà per quale porta aperta per sbaglio. La verità è che le case discografiche, come tutte le attività di questo periodo storico disarmante, hanno dovuto fare due conti e si sono piegati al “massimo rendimento col minore sforzo” (e con le chiappe parate il più possibile).
    Una volta le etichette investivano in maniera discutibile su musicisti e gente a tratti inaffidabile, per la maggior parte del tempo mezzi fatti o ubriachi. Adesso essere musicisti seri e preparati non è comunque un plus e non ti apre le porte alle situazioni più grosse, devi essere un figo, devi avere l’x factor (ma che cavolo vuol dire poi???). Basta fare il singolo a seconda del periodo dell’anno (da festa in spiaggia verso maggio e da clima natalizio verso novembre), un po’ di culi e tette al vento, un po’ di frasi da uomo di strada che ne ha passate tante (a 20 anni appena compiuti magari….) e via. Tristezza e schifo è la sensazione che mi accompagna ogni volta che scorro le pagine social delle grandi etichette che pubblicizzano le vittorie della loro scuderia….
    Queste sono le mie personali considerazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *